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Intervista a Giuliano Tani

 


 •  Gentile Giuliano, ti ringraziamo per questa intervista. Potresti presentarti brevemente ai nostri lettori?

Sono nato a Roma nel 1975 dove vivo ancora oggi. Lavoro presso l’archivio cinematografico-televisivo della RAI da oltre vent’anni. Tra le mie passioni ci sono i viaggi, il cinema e l’audiovisivo in generale con particolare riguardo verso quello giapponese.

• Quando e come inizia la tua passione per il Giappone?

Ero molto piccolo quando iniziarono a trasmettere i cartoni animati giapponesi e avendo una sorella maggiore ero “costretto” a vedere principalmente quelli che vedeva lei. Ricordo Capitan Harlock, Candy Candy e Heidi. Divenuto più grande ho iniziato a scegliere i miei: l’Uomo Tigre, Lamù e Holly e Benji ovviamente, e Bem il mostro umano che mi terrorizzava. Ma non li abbinavo automaticamente al Giappone. Nel mio immaginario il Giappone era la tecnologia.
A Roma c’è il famoso mercato di Porta Portese, tanti anni fa era molto diverso. Si trovava di tutto e alcune zone erano specializzate, c’era la zona “dei russi” dove vendevano materiale di fotografia di origine sovietica, e c’era la parte “giapponese” (molte cose in realtà venivano anche da Honk Kong e Singapore) che aveva un’infinità di prodotti tecnologici: orologi a cristalli liquidi, telefoni e calcolatrici miniaturizzate. Mio nonno acquistava spesso oggetti senza sapere come funzionassero o addirittura a cosa servissero, ma erano l’ultima novità! E immancabilmente mi chiamava per cercare di capire cosa avesse acquistato e come funzionasse; i manuali di spiegazioni una volta erano alquanto spartani. Ecco, per me il Giappone era la tecnologia e la ricerca continua. In una parola, il futuro.
Da adulto il mio interesse si è risvegliato dopo il casuale acquisto in un mercatino dell’usato de Il sapore della gloria di Mishima Yukio, una vera folgorazione.


• Ci racconteresti la genesi del tuo “Cinestoria del Giappone”?

Il libro è nato per sedimentazione. Ho l’abitudine ogni tanto di riprendere in mano dei film visti anni prima per vedere se l’effetto che mi fecero è ancora vivo. Nel caso particolare decisi di rivedere "I Sette Samurai" che avevo in una vecchia versione VHS, quelle de l'Unità, in giapponese sottotitolata. Era ancora meglio di quello che ricordassi e mi venne voglia di recuperare anche "Kagemusha" (foto in basso) e "Ran". Come le ciliegie passai in rassegna tutti i Kurosawa in costume ma ormai era troppo tardi per fermarmi! Ho spulciato nella meravigliosa biblioteca dell’Istituto di Cultura Giapponese di Roma e ho scoperto qualche altro titolo. Più vedevo film e più mi rendevo conto che alcuni personaggi erano ricorrenti nelle storie, altre volte i costumi erano completamente diversi e ho iniziato a prendere appunti per una mia ricerca personale. Man mano che accumulavo materiale iniziai a notare un impercettibile filo rosso che collegava i film. Mettendoli in ordine cronologico la cosa aveva un senso anche se alcuni periodi erano molto frequentati e altri completamente ignorati. Per farla breve ho iniziato a vedere se riuscivo a coprire i "buchi” degli avvenimenti storici.
Questa è stata la parte piu critica, sarebbe bastato che non riuscissi a trovare anche un solo avvenimento importante perché il castello di carte crollasse. Ma con molta caparbietà penso di aver coperto le cose fondamentali. Ovviamente non è un libro di storia ma ho cercato di dare al testo una certa coerenza. Rimaneva la parte più difficile, che forma dare al libro.
L’intuizione mi è venuta mentre lavoravo sulle bozze in un bar di Tbilisi. Lì ho scelto la struttura e il lavoro è andato avanti più spedito. In fase di revisione è stato poi fondamentale l’aiuto dei Kappa Boys che mi hanno guidato nel rendere il testo più snello senza perdere contenuti.


• A prima vista ci si potrebbe perdere nel mare magnum delle produzioni cinematografiche nipponiche. Qual è stata la tua “bussola”?

Il mondo produttivo dell’audiovisivo giapponese è sterminato e molteplice: i film per il cinema, il materiale televisivo, i documentari, l’animazione e i prodotti OV. Ho pensato che sarebbe stato più omogeneo e interessante utilizzare solo film per il cinema e solo produzioni nipponiche. Sfortunatamente non sono riuscito a coprire tutto e ho dovuto inserire un cofanetto DVD che si è rivelato utilissimo, rischiavo seriamente di arenarmi! Recuperare il materiale è stato un po’ problematico visto che molti film non sono mai stati pubblicati in occidente. Un aneddoto buffo di questa fase riguarda "Himiko" di Shinoda Masahiro che mi son fatto portare in VHS (NTSC!) direttamente dal Giappone. Trovare il sistema per vederlo è stato molto faticoso e poche settimane dopo ne è uscita una versione restaurata disponibile in streaming...

• Leggendo il tuo saggio si percepisce un occhio di riguardo ai film sui samurai….

Il cinema samuraico in effetti è straordinario, ed è grazie ai samurai, anzi forse ai rōnin che il cinema storico giapponese è entrato nell’immaginario collettivo penetrando anche generi diversi: dalla serie horror "Tokyo Vampire Hotel" agli anime su mondi virtuali come "Sword Art Online" per citare qualcosa di recente. Sperò però che il libro possa aiutare ad esplorare anche altri aspetti e altre figure della storia del Sol Levante. I samurai fanno la parte del leone ovviamente ma ci sono i monaci zen, il mondo dei quartieri del piacere, la vita di corte del periodo Heian e molto altro.
Per quanto mi riguarda comunque sono onnivoro riguardo i generi, la mia unica preoccupazione è che siano bei film!

• Una curiosità legata alla stesura del tuo libro?

E’ stato un lavoro d’archivio, sarebbe stato bello incontrare qualcuno dei veterani del cinema di Kurosawa o Shinoda ma sarebbe stato un altro tipo di libro. Di scoperte cinematografiche invece ne ho fatte molte, "Fuefukigawa" di Kinoshita Keisuke ad esempio è un film esteticamente bellissimo con una struttura molto interessante. Parlando di film meno impegnativi segnalo "Onmyōji" di Takita Yojiro e "Azumi" di Kitamura Ryuhei, molto divertenti.

• Cambiando argomento, dalla tua biografia leggiamo che vivi con tua moglie e un gatto. Nella cultura giapponese il gatto ha un posto importante...

Grazie per la domanda, mi dai l’occasione per ringraziare mia moglie Maia che è stata di grande supporto durante la scrittura di questo libro e il gatto Oscar (foto in basso) che vede costantemente i film con me, ha una predilezione per gli Horror, se non ci sono troppe grida ovviamente. Riguardo i gatti (neko) e la cultura giapponese il rapporto è antico e strettissimo. Fanno la loro apparizione nei documenti della corte imperiale fin dal periodo Heian e hanno una parte importante nel folklore: ben due yokai li riguardano, il "Bakeneko" e il "Nekomata".
Appaiono anche nei lavori di numerosi pittori come Yosa Buson e Utagawa Kuniyoshi fino all’ultima opera di Murakami Takashi esposta proprio in questi giorni alla Art Gallery of NSW.
Più recentemente i gatti sono sembrati entrare in maniera meno preoccupante nelle case dei giapponesi, basti pensare a "Io sono un gatto" di Natsume Soseki, al meraviglioso "La gatta" di Tanizaki Jun'ichiro, agli onnipresenti felini nei libri di Murakami Haruki e negli anime di Shinkai Makoto.
Nella vita di tutti i giorni in molti negozi si viene accolti dall’immancabile Maneki neko portafortuna, ed è frequente imbattersi nei Neko Café e nell’icona di Hello Kitty. Insomma, da animali di compagnia nelle corti a mostruosi abitatori del mondo soprannaturale ad amici quotidiani, i gatti e il Giappone si fanno compagnia da secoli. Per farsene un'idea consiglio di vedere "A Gathering of Cats" (Neko no shukai), un piccolo (solo letteralmente) capolavoro.


• Da tanti anni ti occupi di audiovisivo per la Rai, per cui attualmente ricopri il ruolo di controllo qualità della programmazione di Rai4. Ci sono state sempre resistenze all’animazione giapponese in Rai, ci sapresti dire il perché?

È un argomento un po’ delicato, mi occupo di post produzione e non di palinsesti o di editoriale, ma non voglio eludere la domanda. La Rai ha iniziato nel 1976 a trasmettere cartoni animati giapponesi (la parola anime era ancora lontana dal diventare di uso comune) arrivando addirittura, nella prima metà degli anni ottanta, ad una coproduzione con la TMS Entertainment, Ltd. che ha visto la supervisione, e nei primi episodi la regia, del maestro Miyazaki Hayao. Parlo de "Il fiuto di Sherlock Holmes" che è in corso di restauro proprio in questi giorni a cura di RAI1 presso la Postproduzione del CPTV di Roma e i cui primi episodi sono stati proiettati in anteprima all'interno de: CITYFEST – ALICE NELLA CITTÀ qualche settimana fa e che verranno aggiunti al catalogo di RaiPlay dal 21 dicembre 2019.
Quindi forse è un po’ ingeneroso parlare di “resistenze” da parte della Rai nel suo complesso, il problema semmai era più generale. Penso varrebbe la pena approfondire l’impatto dell’animazione giapponese nella pubblica opinione italiana, nella politica e sulla stampa dalla fine degli anni settanta alla prima metà degli ottanta ma richiederebbe molto tempo.
Mi limiterò a segnalare che quotidiani e riviste “specializzate” martellavano in maniera quasi unanime sulla violenza dei contenuti (sotto la lente d'ingrandimento erano finiti ovviamente i "robottoni") oltre a sparare vere e proprie fake news che si sono rivelate persistenti negli anni e hanno contribuito a creare un clima ostile nei loro riguardi, come il fantomatico utilizzo da parte dei giapponesi di computer per produrre disumanizzanti episodi in serie. Potrebbe anche essere utile far presente che in quel periodo si iniziarono ad importare molti prodotti giapponesi mentre ancora la filiera non era in grado di gestirne il flusso: parlo di selezione del materiale fatta senza troppo discernimento; materiale che in Giappone veniva prodotto per fasce di età ed interesse diverse veniva in Italia trasmesso in qualunque fascia oraria.
Ci sono voluti anni perché capissimo che i cartoni animati non sono esclusivamente (ed automaticamente) un prodotto per bambini! Inoltre era in fase embrionale tutta la catena adattamento-doppiaggio, il che ha portato a topiche colossali come il non rispetto della cronologia delle serie, invenzioni vere e proprie di titoli e nomi oltre a censure e clamorosi errori di doppiaggio, problemi che, ahi noi, sono arrivati fino ai giorni nostri. Insomma, agli inizi gli anime, anzi i cartoni animati giapponesi hanno avuto vita dura per superare le resistenze…. degli adulti! Ai bambini piacquero da subito! Per chi volesse approfondire suggerisco questo ottimo blog.

• Quali le ultime tendenze dell’audiovisivo “Made in Japan”?

Probabilmente negli ultimi anni le cose più interessanti nel concetto ampio di audiovisivo sono state prodotte nel campo dei videogiochi ma andremmo fuori tema. Rimanendo nella fiction (dorama), dal punto di vista produttivo penso che il forte sviluppo degli investimenti delle piattaforme on demand internazionali come Netflix e Amazon Prime stiano spingendo verso un allargamento delle produzioni e ad una accessibilità senza precedenti; la qualità dei contenuti non è sempre straordinaria ma la varietà e il coraggio hanno già portato a qualche bel titolo, segnalo "Fukuyado Honpo - Kyoto Love Story" e "Who Killed Daigoro Tokuyama?".
Per gli appassionati di samurai e ronin ne approfitto per ricordare che sta uscendo proprio in queste settimane un nuovo adattamento anime di "Blade of the Immortal" (Mugen no junin).
Parlando invece del punto di vista tecnologico siamo tutti in attesa delle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020 e il definitivo lancio su scala mondiale dello standard 8k.


• Un libro che hai letto di recente e che ti è piaciuto particolarmente? Un film? Ovviamente giapponesi...

Segnalo molto volentieri "The Woman with the Flying Head and Other Stories" di Kurahashi Yumiko purtroppo inedito in Italia tranne per un racconto contenuto nella bella antologia "Gatti giapponesi. Ritratti felini dagli inizi del Novecento ai giorni nostri" (Casadeilibri, 2015).
Kurahashi è una fantastica e originale scrittrice della generazione di Oe Kenzaburo; venne nominata per il premio Akutagawa per poi finire un po’ nel dimenticatoio a causa di alcune scelte stilistiche.
Per quanto riguarda i film ho visto da poco l’ultimo lavoro di Shinkai Makoto, "Weathering with You" (Tenki no ko). E’ un buon film, bellissimo esteticamente. La storia si presta alla sua abilità nel disegnare i cieli e “pennellare” le emozioni degli adolescenti. E’ un autore che mi piace tanto, forse non da ancora il meglio nei lungometraggi ma si sta impegnando molto.
Le sue prime opere mi fecero pensare a una sorta di Michelangelo Antonioni giapponese per il suo lavoro sulla comunicazione mediata dai nuovi mezzi tecnologici, piano piano mi sembra stia cercando di alleggerirsi e lo sta facendo senza perdere il suo tocco poetico.
"Weathering with You" è forse un passo indietro rispetto a "Your Name" ma è comunque un bel film.
Se posso aggiungere un manga, è appena uscito "Le Anime di Edo" di Masahara Koichi, pubblicato in Italia da Bao Publishing, e che segue a stretto giro i "Doni di Edo". Per gli appassionati di samurai, of course.

a cura di Giuseppe Ferro (Novembre 2019)

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