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Intervista a Giorgio Amitrano

 

• Gentile Professore Amitrano molti dei nostri lettori la conoscono di sicuro come traduttore di Banana Yoshimoto o Haruki Murakami, in realtà lei fa tantissime altre cose…

Il mio lavoro principale è quello di docente di Lingua e Letteratura Giapponese presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, la stessa dove ho studiato e mi sono laureato tanti anni fa. E’ vero, faccio anche altre cose.
Soprattutto scrivo, in genere di letteratura giapponese, ma a volte anche di altri argomenti.

• Una domanda personale a cui spero non si sottrarrà: come è nata la sua passione per il Giappone, poi divenuta oggetto dei suoi studi e del suo lavoro?

Mi sono iscritto ai corsi di giapponese a diciotto anni senza avere le idee molto chiare sulle ragioni della mia scelta e su quello che avrei voluto fare in futuro.
A guidarmi era una forte passione per la letteratura, coltivata da sempre, e che mi aveva portato a conoscere, anche se in modo indiretto, diversi aspetti del mondo asiatico.
Gli autori beat (Kerouac, Ginsberg, Snyder ecc.), di cui ero un grande fan negli anni del liceo, avevano un forte interesse per l’Oriente: l’India, soprattutto, ma ogni tanto facevano dei riferimenti a elementi della cultura giapponese che mi incuriosivano: lo zen, gli haiku ecc.
Poi avevo letto un paio di romanzi giapponesi, visto qualche film di Kurosawa e Mizoguchi, e provato una certa attrazione per quel mondo, di cui mi affascinava la visione estetica, ma direi che all’inizio le mie motivazioni erano piuttosto vaghe.
E’ stato solo più tardi, anni dopo, quando già vivevo in Giappone, che ho capito di colpo come la mia scelta non fosse stata casuale.
Vari segnali mi avevano richiamato in quel posto così lontano dall’ambiente dove ero cresciuto.
In qualche modo misterioso, il Giappone faceva parte del mio percorso prima ancora che io lo scoprissi.

• Come vede l’attuale produzione editoriale nipponica e, se c’è, qualche autore contemporaneo che Lei ritiene sottovalutato nel nostro paese.

Tra i contemporanei il più sottovalutato mi sembra Ryu Murakami, autore di alcuni libri memorabili e trascurato dall’editoria italiana.
Ma il vero problema sono autori meno recenti come Soseki Natsume, Ogai Mori, per proseguire con Shohei Ooka, Jun Ishikawa e altri ancora.
Questi scrittori, considerati in Giappone dei classici moderni, interessano ancora meno all’editoria che tende ad “agganciare” la pubblicazione dei libri a elementi di facile richiamo commerciale. Una mentalità che secondo me non ha neanche un vero ritorno economico. Io penso che puntare sulla qualità premi più di quanto si creda.

• Quindi si punta sul fenomeno letterario del momento, piuttosto che su autori importanti come Haruki Murakami o gli altri da Lei citati?

Anche Haruki Murakami è stata vittima di una “pregiudiziale”. Ho tentato molti anni fa di far pubblicare i suoi libri, ma dopo “Tokyo Blues”, che inizialmente non aveva venduto molto (anche se poi è diventato un longseller), non c’era un vero interesse per lui.
Altri suoi libri sono usciti qui e là in ordine sparso e senza nessun vero criterio.
Ciò ha nuociuto alla popolarità di Haruki che è rimasto a lungo autore di nicchia, amato da una ristretta cerchia di fan,mentre in altri paesi la sua fama cresceva.
La situazione ha cominciato a cambiare da quando Einaudi ha cominciato a pubblicarlo con regolarità. Per il resto, come dicevo rispondendo alla domanda precedente, effettivamente gli editori sono alla ricerca del “caso”.
Questo non sarebbe un problema se accanto ai “fenomeni” si pubblicassero anche opere realmente significative. Come del resto si fa per la letteratura francese, inglese ecc. Ma ci sono ancora troppe lacune che gli editori non si preoccupano di riempire. 

• Si parla ancora tanto di Yukio Mishima (di cui ho letto un suo interessante articolo su “La Repubblica” che ne presentava la pubblicazione ne “I Meridiani” della Mondadori) mentre autori importanti come Yasunari Kawabata, Junichiro Tanizaki o Kenzaburo Oe restano forse poco studiati e conosciuti nel nostro paese.

Non direi che Kawabata e Tanizaki siano poco studiati da noi, anzi. E’ solo che gli articoli e i saggi su di loro rimangono circoscritti a un ambito accademico, e non raggiungono di solito il grande pubblico che legge i giornali e i periodici a larga diffusione.
Basta guardare le pagine di tutti i grandi quotidiani, ma anche delle riviste, per capire che la letteratura giapponese è lontana dai pensieri di chi dirige le pagine di cultura.
La differenza con la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti ecc. è tutta a nostro sfavore.
Esempio: è uscito da poco un grande classico come "Io sono un gatto" di Soseki Natsume.
Avrebbe meritato paginoni su tutti i quotidiani ma sono apparse pochissime recensioni.
Perché le cose cambino bisognerà aspettare che crescano le generazioni più giovani, quelle cresciute a dosi massicce di manga e anime, che non considerano il Giappone un mondo lontano e “esotico”.

• Lei che conosce la Yoshimoto sin dai tempi di “Kitchen” (e l’autrice non ne ha fatto mai mistero), ha qualche aneddoto legato alla scrittrice da raccontarci?
Si aspettava, nel lontano 1990, quando lavorava alla traduzione di questo romanzo, un successo di queste proporzioni?

Non mi aspettavo un successo di tali proporzioni, ma dentro di me ero sicuro che ci sarebbero stati dei lettori che l’avrebbero capita e amata.
Non c’erano motivi oggettivi per pensarlo: nonostante l’enorme successo giapponese, nessun editore americano aveva accettato di pubblicarla (tranne un racconto apparso in un’antologia) e nessun altro editore straniero si era fatto avanti. Dopo il successo italiano è stata tradotta e pubblicata in tutti i paesi del mondo.
Quanto agli aneddoti, non saprei cosa raccontare…E’ stato bello essere presente agli incontri con registi o scrittori che Banana incontrava per la prima volta e condividere le sue emozioni.
E’ successo con Dario Argento, con Alejandro Amenabar (il regista di “The Others” e “Mare dentro”), Luciano Emmer e molti altri.
Di fronte a persone che ammira non si comporta come una scrittrice famosa, ma come una semplice fan.

• Ci parlerebbe della sua ultima “fatica” come traduttore, sempre per Feltrinelli, e delle altre traduzioni in corso?

L’ultimo libro che ho tradotto per Feltrinelli è stato “Ricordi di un vicolo cieco” di Banana Yoshimoto.
Ma su questo volume non saprei cosa dire, è uscito già da alcuni mesi e sto già pensando al prossimo. Poi è uscita da Adelphi una raccolta di racconti di Yasushi Inoue dal titolo “Amore”, e adesso sto traducendo “Kafka sulla spiaggia” di Haruki Murakami per Einaudi.
Un romanzo bellissimo ma, purtroppo per me, lunghissimo.

• Quante volte va in Giappone e che cosa la continua a colpire del paese del Sol Levante? E’ davvero una “terra di marziani” per un occidentale, come ha detto poco tempo fa Gianluca Bevere (editor di Planet Manga/Panini Comics) in una intervista sempre per Asakusa.it?

Vado in Giappone circa due volte all’anno. Mi continua a colpire la cura e la competenza con cui tutti lavorano, la ricerca della bellezza anche nella vita quotidiana, la creatività,l’educazione e la gentilezza. Certo, ci sono problemi anche lì, ma la mia visione del paese è fondamentalmente positiva.
Oggi i giapponesi stanno scoprendo il gusto del tempo libero, e cercano uno stile di vita meno dominato dal lavoro e dalla disciplina.
E’ da vedere se questa sacrosanta “scoperta della libertà” metterà in crisi l’efficienza del loro sistema, basata in gran parte sul sacrificio delle esigenze individuali in favore di quelle collettive. Bisognerà riparlarne fra qualche anno.
Comunque, se posso dirlo, a me la “terra di marziani” sembra l’Italia. 

Per finire vorremmo conoscere i suoi progetti per il futuro.

Vorrei pubblicare un libro mio, non una traduzione, in cui cerco di comunicare la mia visione della cultura giapponese.
Sono passati quasi venticinque anni da quando sono stato lì per la prima volta, e penso di avere un po’ di cose da raccontare. Non ho mai abbastanza tempo da dedicare a questo progetto, ma ci lavoro da tempo ed è diventato una priorità per me portarlo a termine quanto prima.

 

a cura di Giuseppe Ferro (Ottobre 2007)

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