Yurei - Yuki Onna
Una delle bellezze della varietà culturale caratterizzante il nostro pianeta è che individui appartenenti ad etnie differenti possano essere influenzati o trovare ispirazione nell’immaginario tradizionale di popoli geograficamente lontanissimi.
Se prendiamo in esame il cinema d’orrore occidentale dell’ultimo decennio, per esempio, sarà possibile cogliere in buona parte della produzione una sorta di sincretismo, tra i vari riferimenti a pellicole giapponesi dello stesso genere(specie i film “shinrei mono eiga”, incentrati proprio su storie di fantasmi), o soprattutto ad elementi fantastici estrapolati dalla mitologia del Giappone tradizionale.
Sono piuttosto ricorrenti negli horror movies made in Japan, le figure di spiriti vendicativi usciti direttamente da fiabe e leggende giapponesi, come gli Yokai; i più famosi (e temuti) sono le figure femminili: nel delineare le evanescenti sembianze delle Yuki-Onna, la donna delle nevi, e delle Yurei, si ricorre all’ ”orripilante” nel senso originario del termine, dal latino horripilare, “avere il pelo irto” dal terrore, che diventa una sensazione posta in antitesi alla spiazzante bellezza della Yuki-Onna.
Alta, capelli lunghi e neri (secondo l’antica credenza giapponese secondo cui i capelli continuerebbero a crescere anche dopo la morte), dal colorito che le permette di mimetizzarsi nella neve, elemento che domina i luoghi in cui questo spettro,o meglio “yokai”, si aggira durante la notte, senza lasciare alcuna traccia di sé, eterea, nel suo kimono bianco o nel pallore del suo corpo nudo.
Seduce i viandanti per assorbirne le energie vitali, se non li pietrifica dal terrore col suo sguardo o non li induce ad una morte per assideramento facendoli perdere nel luogo dell’apparizione o attraverso il suo gelido respiro; ma per sua natura ha pietà verso le giovani vite, come narrato nella leggenda di Minokichi.
Altrettanto terrificanti sono gli Yurei (“anima evanescente”), raffigurati per lo più come figure femminili, fluttuanti, vestite del kitabira (particolare kimono con cui vengono abbigliati i defunti al loro funerale), che si manifestano con l’aspetto che avevano durante il loro ultimo momento tra i mortali, tinto però di bianco ed indaco (colori della morte), tendendo in avanti le mani penzoloni, avanzando accompagnate da due hitodama (fuochi fatui).
Il loro Reikon, ovvero l’anima, non ha potuto oltrepassare nell’aldilà e si è evoluto, attraverso un’ingente forza emotiva e mentale, in quello che è il loro stato di “yurei”, costringendoli a restare legati ad un luogo, un oggetto od una persona.
L’unico modo per svincolarsi da questa condizione ed avere finalmente accesso allo Yomi (il mondo dei morti) è l’esorcismo o, nel caso fosse un conflitto emotivo ad ancorare lo yurei al mondo terreno, la risoluzione del medesimo.
Nel caso in cui lo yurei fosse lo spirito di una persona vittima d’omicidio, sarebbe dominato da sentimento di vendetta. In questo caso lo spirito è detto onryo e colpisce, senza pietà, chiunque abbia a che fare con il destinatario della punizione.
Sono molto presenti nel teatro Kabuki, ma un esempio di onryo più conosciuto è Sadako Yamamura, la terribile ragazzina vendicativa della saga “The Ring”.
Queste creature sono presenti anche nella tradizione pittorica giapponese; sono infatti i soggetti di alcune stampe di grandi Maestri come Hokusai , uno dei massimi esponenti dell’Ukiyo-e e di tutta la tradizione pittorica giapponese.
a cura di Chiara Akemi
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